La canzone “I giovani d’oggi non valgono…” degli Ex-Otago non si applica certo al dinamismo della triestina Michela Coslovich. L’abbiamo conosciuta durante il lancio del sito di Visual Hub e fin da subito ha mostrato grande entusiasmo per il nostro lavoro. La sua carriera è variegata: copywriter, social media manager, curatrice e consulente per progetti artistici e culturali.
Michela Coslovich scrive dal 2020 per riviste nazionali e internazionali. Nello stesso anno ha co-fondato fuori edicola, progetto dedicato alla promozione delle pubblicazioni indipendenti. Appassionata del rapporto tra fotografia ed editoria, sviluppa programmi sperimentali in questo ambito. Nel 2024 ha fondato cont.images, un cluster digitale che organizza mostre, workshop e altri eventi per promuovere la fotografia contemporanea e l’immagine in movimento in Italia.
Come selezioni i progetti su cui lavorare? Quali criteri consideri più importanti?
Attualmente mi dedico a progetti curatoriali il cui obiettivo principale è la promozione e divulgazione della fotografia contemporanea. In questo contesto, collaboro attivamente con artisti, fondazioni, associazioni culturali e gallerie d’arte che necessitano di supporto strategico e curatoriale per sviluppare e valorizzare le loro iniziative.
La mia formazione si colloca all’intersezione tra curatela e comunicazione culturale, permettendomi di integrare entrambi gli ambiti in maniera trasversale, creando un dialogo costante tra di essi.
Negli ultimi tempi, il mio interesse si è concentrato particolarmente sulla relazione tra arti visive e natura, nonché sui temi transfemministi, che rappresentano una lente critica attraverso cui analizzo e interpreto il contemporaneo. Inoltre, sto esplorando con attenzione il concetto di post-fotografico, indagando come la fotografia, in continua evoluzione, possa interagire con la dimensione naturale e con le questioni di genere, trasformando il nostro modo di percepire e rappresentare la realtà attraverso le immagini. Questo interesse mi spinge a esplorare nuovi linguaggi espressivi e a creare sinergie con artisti e istituzioni che condividono una visione innovativa e sperimentale del medium fotografico.
Come è nato il progetto fuori edicola e di cosa si tratta?
Fin dagli anni della mia formazione universitaria, ho sempre sentito di essere divisa (o meglio, “moltiplicata”) tra due grandi passioni: l’arte e l’editoria. Questi due mondi sono stati per me fonte di ispirazione e arricchimento e, grazie a fuori edicola, sono riuscita a trovare un punto di incontro ideale tra loro. Questo progetto rappresenta oggi uno spazio creativo che mi consente di sviluppare iniziative di divulgazione culturale sia nella mia città, Trieste, che su tutto il territorio regionale, con l’auspicio di espandere presto le nostre attività anche oltre i confini locali.
L’idea di fuori edicola nasce in realtà da Matteo Verazzi e Nina Alexopoulou, che per primi hanno intravisto il potenziale di portare a Trieste l’esperienza unica di entrare in contatto con la “bella carta”, collaborando con una realtà perugina a cui siamo particolarmente legati: Edicola 518, che rappresenta una delle esperienze più innovative ed interessanti nel panorama editoriale italiano e ci ha ispirati a sviluppare anche sul nostro territorio una presentazione al pubblico dell’editoria indipendente. Quando ho iniziato a collaborare con Matteo, abbiamo sentito subito la necessità di strutturare gli eventi in modo nuovo e coinvolgente. Abbiamo quindi sviluppato un nuovo format per i nostri incontri e presentazioni di libri, legando ogni evento a un tema specifico, che ci permettesse di creare connessioni con altre realtà culturali e artistiche, sia locali che nazionali. La nostra ambizione è sempre quella di stimolare il dialogo e il confronto tra diversi attori del mondo culturale, favorendo la creazione di una rete che dia vita a nuove prospettive nell’ambito.
Quello che ci affascina di più è proprio la capacità di costruire connessioni, non solo tra libri e pubblico, ma anche tra le diverse discipline artistiche e culturali. Ogni talk o presentazione diventa così un’occasione per esplorare nuove contaminazioni e per favorire un confronto aperto su temi attuali e rilevanti. Siamo costantemente alla ricerca di spunti che ci permettano di arricchire l’offerta culturale di Trieste, creando un ponte tra editoria, arte, architettura, suono ed altri ambiti creativi.
Nel 2024 hai dato vita a “cont.images”. Quali sono le iniziative che senti più vicine e rappresentative del progetto?
Negli ultimi anni ho lavorato allo sviluppo di progetti di promozione artistica con l’obiettivo di portare una forma di ordine e coerenza nel panorama complesso e spesso frammentato degli eventi legati alle arti visive. Uno di questi progetti è cont.images, nato inizialmente come una sperimentazione, che si è poi evoluto in una piattaforma digitale che rappresenta oggi un hub digitale in cui raccolgo e promuovo, attraverso i social media, mostre, eventi, talk, simposi e fiere legati alla fotografia contemporanea e all’immagine in movimento in Italia.
L’idea alla base del progetto è quella di offrire una bussola per orientarsi all’interno della vivace e in continua evoluzione scena artistica, fungendo da punto di riferimento sia per professionisti del settore che per appassionati. Mi impegno a curare con attenzione la selezione dei contenuti, garantendo una panoramica completa e di qualità sulle iniziative più interessanti e innovative in corso. Dopo una pausa estiva, sono pronta a riprendere ampliando il raggio d’azione di cont.images e introducendo nuove collaborazioni e progetti. L’obiettivo è di rendere questo spazio sempre più inclusivo e rilevante, non solo come canale di informazione, ma anche come luogo di dialogo e confronto per tutti coloro che vogliono approfondire il legame tra arti visive e contemporaneità.
Quali sono le tendenze emergenti nel campo della fotografia contemporanea che ti entusiasmano di più e come pensi di integrarle nei tuoi futuri progetti?
Sono molto interessata al modo in cui ci stiamo sempre più avvicinando a una dimensione post-fotografica, in cui il concetto di “visuale” sta assumendo un ruolo predominante, superando le tradizionali dinamiche legate all’atto fotografico in sé. Questo spostamento di focus rappresenta una liberazione dal vincolo tecnico della fotografia, aprendo la strada a nuove esplorazioni che mettono in discussione i confini tra immagine e realtà, tra documento e interpretazione artistica.
Il mondo post-fotografico consente di guardare oltre il mezzo fotografico convenzionale, esplorando l’immagine come strumento fluido e versatile, capace di interagire con altri linguaggi espressivi. Questo approccio amplifica la nostra capacità di riflettere criticamente sulle immagini e sul loro impatto nella nostra società iperconnessa e saturata di visivi. L’evoluzione mi rende particolarmente entusiasta perché apre nuove possibilità di dialogo tra le arti visive, ridefinendo i confini tra fotografia, arte digitale e multimedialità.
C’è un fotografo del Friuli Venezia Giulia che ammiri particolarmente e di cui apprezzi il percorso professionale?
Credo fermamente che il Friuli Venezia Giulia sia una regione ricca di artisti visuali che operano in maniera estremamente interessante e innovativa, contribuendo a creare un panorama artistico particolarmente vivo, ma a volte, poco conosciuto. Negli ultimi anni ho avuto il privilegio di collaborare con diversi talenti locali, e tra questi mi ha particolarmente colpito il lavoro di Marcello Maranzan, figura emergente con un approccio fotografico unico, capace di raccontare il mondo attraverso uno sguardo profondamente sensibile e attento ai dettagli. I suoi progetti più recenti dimostrano una maturità crescente e una capacità di esplorare nuove forme narrative visive. Inoltre, desidero citare due artiste che stanno contribuendo in maniera significativa al panorama delle arti visuali nella nostra regione: Martina Zanin e Giulia Iacolutti. Entrambe, con le loro opere multidisciplinari, esplorano temi complessi e profondi, offrendo una prospettiva originale e audace. Zanin, attraverso i suoi lavori, riesce a fondere intimità e memoria personale, mentre Iacolutti affronta questioni sociali e identitarie con un approccio visivo coinvolgente.
Dove ti piacerebbe arrivare con il tuo lavoro? Quali sono le tue aspirazioni professionali?
Il mio obiettivo più grande resta quello di contribuire attivamente alla crescita artistica e culturale della mia città, Trieste, donandole l’aspirazione e il riconoscimento che merita e che purtroppo, per troppo tempo, non è stata valorizzata da chi di dovere.
Se penso ad un’aspirazione professionale, penso ad uno spazio fisico che possa fungere da punto di incontro e scambio per artisti, curatori e operatori culturali. Un luogo che sia non solo un centro espositivo, ma anche un laboratorio di idee, un hub creativo in cui nascono e si sviluppano progetti innovativi. Questo spazio potrebbe diventare un vero e proprio cluster culturale, capace di favorire sinergie e collaborazioni tra diverse realtà artistiche, sia locali che internazionali, promuovendo la condivisione di competenze e risorse.
L’idea è quella di costruire un ambiente aperto e inclusivo, dove l’arte e la cultura possano dialogare in modo costante, e dove si possano creare connessioni significative tra diverse discipline. Il mio auspicio è che questo spazio possa contribuire a rafforzare il tessuto culturale di Trieste, rendendola un punto di riferimento per la scena artistica contemporanea.
Cosa apprezzi maggiormente di Trieste e quali aspetti della città vorresti migliorare?
Partendo da quanto già espresso sopra, ritengo che l’amministrazione triestina sia spesso bloccata in una retorica che considera l’arte principalmente come un mero strumento di profitto.
Tuttavia, sono molto fiera di vedere che stanno emergendo realtà che si distaccano da questa logica, cercando di ridefinire il concetto di arte e cultura in modo più inclusivo e significativo.
Realtà come Pop Adriatico, Clanz e Studio Na Krasu sono solo alcune delle iniziative che frequento e che, negli ultimi tempi, hanno dato una scossa notevole alla vita culturale di Trieste. Incoraggiano la sperimentazione, il dialogo e la collaborazione tra artisti, curatori e comunità, contribuendo a creare un’atmosfera di fermento culturale che è tanto necessaria tra le nostre strade. Certamente, se la giunta fosse più aperta e collaborativa, potremmo realizzare progetti ancora più ambiziosi e coinvolgenti. Tuttavia, forse è proprio questo il destino di Trieste: essere una città resiliente e combattiva, capace di affrontare e superare le limitazioni di una retorica tradizionale. La nostra forza risiede nella capacità di adattarci e innovare attraverso le arti, di trovare nuove strade e di creare connessioni significative nonostante i limiti che ci vengono imposti.
Hai collaborato alla residenza AiR Trieste. Puoi raccontarci com’è stata questa esperienza e cosa ti ha insegnato?
AiR Trieste è un programma di residenza artistica concepito per offrire agli artisti visuali internazionali l’opportunità di trascorrere un periodo in città e nelle zone limitrofe di Trieste, dedicandosi a progetti contestualizzati o svolgendo ricerche che possano utilizzare e valorizzare le risorse locali. La visione di AiR Trieste si basa sull’idea che la rete di collaborazione sia un mezzo essenziale per la ricerca e la crescita, e che gli artisti possano agire come veri e propri agenti di contaminazione culturale.
Ho avuto il piacere di conoscere la curatrice del progetto, Francesca Lazzarini alcuni anni fa durante il vernissage di una mostra, e subito è scattata una sintonia che ci ha portato a conversare profondamente su temi che ci riguardano. Qualche tempo dopo, Francesca Lazzarini e Giulio Polita (Tutor di progetto) mi hanno proposto di unirmi a loro per contribuire a questa realtà, e da oltre due anni mi occupo della comunicazione e divulgazione delle residenze artistiche. In particolare, ci dedichiamo a ricerche approfondite, studio delle opportunità disponibili, scrittura di bandi e progetti mirati a promuovere e sviluppare l’arte visiva nella nostra città, creando connessioni con altre realtà, sia nazionali che internazionali.
A livello professionale ho avuto sia modo di stimolare la mia creatività nell’ambito della comunicazione culturale online, sia la possibilità di entrare a contatto con artisti e altri curatori che stimo e con cui condivido aspirazioni e progetti.
Da questo incontro con Michela, iniziamo a esplorare il mondo delle professioni visive attraverso le parole dei suoi protagonisti. Qui sotto potete ascoltare i pensieri visivi di Michela. Buon ascolto!
In La Camera Chiara di Roland Barthes, il punctum è quell’elemento di una fotografia che colpisce profondamente l’osservatore. C’è una tua foto che consideri particolarmente significativa, che ha avuto un impatto emotivo forte su di te? Puoi descriverla e raccontare la storia dietro di essa?
Nelle foto: Michela Coslovich, ritratto di spalle di Giulia Traina, 2019, Michela Coslovich, ritratto di Sara Velenik, 2021, (tutte le foto: courtesy Michela Coslovich)