Ogni forma di creatività porta con sé una delicatezza e una potenza espressiva che svolgono una funzione catartica. In questo ambito, l’artista locale più rappresentativa è Cristina Coral, che utilizza l’ottava arte con uno sguardo profondamente metonimico. Nelle sue opere, le donne sono rappresentate come vulnerabili e forti, avvolte da una tensione continua. Questa tensione è intrinsecamente femminile, un’irrequietezza che emerge anche attraverso le posizioni spesso scomode delle figure ritratte. L’assenza delle donne nelle sue immagini è, in realtà, una presenza frammentata, quasi come se venissero sfidate a riempire e dominare lo spazio. Questa tensione interiore contrasta magistralmente con i colori delicati, gli abiti impeccabili e i volti bellissimi delle protagoniste. Coral ha riportato a Trieste, nella Mitteleuropa delle sorelle Wulz, il gusto per l’eleganza e l’esaltazione dei luoghi.
Cristina Coral è una fotografa nata a Trieste, città che ha influenzato la sua visione artistica. Si avvicina alla fotografia nel 2010 e avvia la sua produzione artistica nel 2012. Il suo lavoro esplora il rapporto tra soggetto e ambiente, con un focus su femminilità, intimità e vulnerabilità. Ha esposto per la prima volta nel 2013 alla Galleria Carla Sozzani di Milano e, nel 2014, ha vinto il prestigioso PX3 Paris Award con la serie Do Not Disturb e Finalista Hasselblad Master 2021 nella categoria Arte. Ha collaborato con importanti istituzioni e i suoi lavori sono stati pubblicati su riviste internazionali come Vogue Italia, Marie Claire Maison ed Elle. Ha collaborato con editori come Einaudi e marchi come Durazzi Milano, B&B Italia e Lalique.
Qual è il tuo primo ricordo di una fotografia che hai scattato?
Il primo ricordo che mi viene in mente è un immagine della mia famiglia, nel giardino della nonna materna, dove trascorrevo le vacanze estive durante la mia infanzia/adolescenza. È una foto di gruppo che ritrae la nonna, mia madre e i miei fratelli scattata da me con una “celebre” polaroid istantanea che in quegli anni andava molto di moda. Questa fotografia mi riporta indietro nel tempo, da dove provengono alcuni dei migliori ricordi della mia vita, ho sempre amato la casa della nonna, mi faceva sentire sicura e protetta. Un posto pieno di amore, un luogo che ci accomuna per suggestioni e ricordi.
Il tuo approccio è spesso definito femminile. Cosa pensi quando ricerchi un progetto, cosa ti spinge a realizzarlo?
Più che femminile, forse è meglio dire che le figure femminili fanno spesso parte dei miei progetti. Quando penso a un progetto, parto dalla ricerca di uno spazio/luogo che, in qualche modo, riesca a contenere la mia visione e i miei pensieri. Quando lo incontro, lo riconosco all’istante perché riesce a stimolare la mia immaginazione. Poi c’è sempre qualcosa che si sviluppa nel corso del lavoro, a volte anche a seguito di riflessioni sul lavoro svolto. Fotografare è un atto strettamente privato, mosso da processi mentali, dal dialogo interiore, ma anche da intuizioni improvvise. Un’interazione tra ragione e immaginazione.
Più che fotografa, potresti essere definita una ricercatrice delle dicotomie che rappresentano le donne. Come ti identifichi in questa descrizione?
La figura femminile è la migliore interprete dei sentimenti, così come della mia visione. È complessa e, a volte, contraddittoria; credo sia un campo di indagine fragile e misterioso, con diverse sfaccettature. Ho voluto catturare alcune tracce del loro dialogo interiore.

Nasci in una famiglia legata al mondo del suono e della musica. Quanto questo immaginario sonoro entra nelle tue fotografie?
Mio padre (il compositore Giampaolo Coral, ndr) ha sicuramente contribuito ad educare e arricchire la mia sensibilità e fin da piccola mi ha fatto ascoltare musica classica.
Più che l’immaginario sonoro credo che il pensiero artistico e trasversale di mio padre sia entrato inconsciamente a far parte di alcuni miei progetti fotografici come the other part of me un progetto su l’identità e sulla ricerca d’identificazione.
La musica è un linguaggio universale, fondamentale per la crescita creativa e per stimolare la consapevolezza interiore.

Qual è il rumore, inteso come concetto metaforico, che ti disturba di più nel contesto della tua arte?
Il problema è sempre ‘il buon gusto’, e quando viene meno il senso estetico che, nel corso degli anni, è stato letteralmente ‘centrifugato’.
Sembra che tu sia molto attratta dall’architettura. Come influenza il tuo lavoro?
Le ambientazioni che scelgo riescono a far risuonare la mia parte più creativa e contribuiscono a creare spazi metafisici. Spesso rappresentano il punto di partenza e la chiave di lettura del mio lavoro.

Hai un luogo del cuore a Trieste che ti ispira sempre e dove ti piacerebbe scattare?
Non ho un luogo del cuore ma ho un legame molto forte con le stanze che hanno contribuito alla realizzazione del mio progetto decennale RoomStories. Luoghi accumulati, che esplorano il rapporto tra figura femminile e ambiente. Un progetto intimista e personale sul mondo femminile, e un lavoro più oggettivo che ha consentito di costruire un vero e proprio inventario di luoghi storici ed eminenti della mia città.
Come scegli i colori e le ambientazioni dove scattare?
La ricerca dell’ambientazione è quasi sempre il punto di partenza, la scelta della modella, dei colori degli abiti sono tutti atti creativi che compio da sola. Ogni dettaglio deve soddisfare il mio senso estetico e la mia visione.
In La Camera Chiara di Roland Barthes, il punctum è quel elemento che colpisce profondamente l’osservatore. C’è una tua foto che consideri particolarmente significativa, che ha avuto un forte impatto emotivo su di te? Puoi raccontarci la storia dietro di essa?
Non ho una foto che considero particolarmente significativa, ogni mia foto in qualche modo mi rappresenta e la mia visione rimane coerente. Credo che ogni opera esista prima di tutto ai fini di chi la crea e la struttura di uno stile è molto simile alla struttura di una personalità. Il “Punctum” crea una connessione molto personale e intima colpendo non solo l’osservatore ma anche l’autore dello scatto stesso. Il “godimento” dell’ opera (in questo caso fotografica) da parte degli altri è solo una conseguenza del suo esistere, ma non tutti sono in grado di afferrarla con la loro immaginazione ed ognuno di noi osserva in base al proprio livello intellettuale e al proprio bagaglio di esperienza visiva.
Anche a Cristina Coral abbiamo chiesto qual è la prima fotografia di un altro fotografo che ti viene in mente e che ti ha colpito profondamente? Qui sotto potete ascoltare i pensieri visivi di Cristina. Buon ascolto!
Nelle foto: Cristina Coral, ritratto. Foto: Nonna Francesca e Lorenzo, Casa di Opicina. Foto tratta dalla serie: RoomStories, 2014. Foto tratte dalla serie: The other part of me, 2015-2017 (tutte le foto: courtesy Cristina Coral)